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Rivista di scienza


Bignè di farina di Castagne con ricotta e fondente

Dal blog di Shamira Gatta:  http://lovelycake-gatta.blogspot.com/

 Bignè di farina di Castagne con ricotta e fondente

 

Ingredienti:
150 gr di acqua
60gr di burro
20 gr di margarina
100 gr di farina di castagne denaturata
3 uova

 

 

 

 

In una pentola far sciogliere il burro e la margarina nell’acqua a fuoco moderato, quando bolle spegnere il fuoco aggiungere la farina, mescolare bene, deve formarsi una palla.
Aggiungere le uova, formare delle palline che adagerete sulla carta da forno su una teglia.
Infornate a 200° per 25 minuti.

Per la glassa vi occorrerà del cioccolato fondente fuso, per il ripieno invece basterà montare la ricotta con lo zucchero a velo, oppure, va bene anche della semplicissima panna.

Riso Venere di Botticelli

Dal blog di Shamira Gatta:  http://lovelycake-gatta.blogspot.com/

Venere del Botticelli

 

 

 

Bellissimo dipinto di Sandro Botticelli che raffigura la nascita di Venere,
la leggenda narra che Venere sia nata dalla spuma delle onde del mare, non trovate che sia una cosa romantica?
Quindi, analizzando il quadro, che, pensandoci ora, potevo interpretare meglio, ho trovato delle analogie tra la raffigurazione e gli ingredienti, inziamo!

 

 

Prima di tutto ho usato il riso di qualità Venere per interpretare questo dipinto nel piatto, quindi Venere il protagonista del piatto, Venere la protagonista del quadro.
Venere è su una conchiglia, quindi io ho servito il riso Venere su una conchiglia.
Venere viene dal mare, quindi il mio risotto è di mare.
Venere nasce dalla spuma delle onde del mare, quindi la base del mio piatto è una spuma ottenuta con i frutti di mare
Vi presento, con tanto tanto orgoglio, il mio Riso Venere di Botticelli!!!

Riso Venere di Botticelli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ingredienti:

Riso Venere 2 manciate a persona
1 piccolo polpo già bollito e tagliato a tocchetti
100 gr di gamberetti gia scusciati
2 gamberoni a persona
cozze, vongole e capesante
Prezzemolo
vino bianco
Olio
Aglio
Sale
Peperoncino
lecitina di soia q.b
1 conchiglia di capasanta a persona

Procedimento:

Il riso Venere ci mette molto a cuocere, circa 40 minuti, quindi procedete con il bollire il riso in acqua bollente salata fino a cottura.
Intanto in una padella molto ampia soffriggete nell’olio l’aglio ed il peperoncino.
Unite le cozze, le vongole e le capesante (quest’ultime pulite e sgusciate), sfumate con il vino bianco.
Aggiungete poi gamberetti, gamberoni ed il polpo a tocchetti, ultimate con tanto prezzemolo.
Quando le cozze e le vongole si saranno aperte toglietele, togliete anche il polpo ed i gamberoni e teneteli al caldo.
In padella dovranno rimanere solo i gamberetti e le capesante, togliete a metà dei molluschi messi da parte il guscio, quindi aggiungeteli sgusciati in padella.
Tenete il resto al caldo.
Prelevate qualche cucchiaio di acqua di cottura delle cozze e company e mettetelo da parte.
Scolate il risotto, saltatelo in padella.

La guarnizione del piatto:

Con il minipimer preparate la spuma frullando l’acqua di cottura delle cozze tenuta da parte insieme a poca lecitina di soia.
Disponete la spuma come base del piatto.
Unite gamberoni, polpo, cozze e vongole con il guscio.
Nella conchiglia di capasanta disponete il risotto e guarnitelo con altra spuma.

Variazioni Natalizie sul tema MERINGA

Il torrone, ricetta tradizionale italiana, è a suo modo una meringa. Ovviamente diversa per consistenza dalla meringa tradizionalmente intesa.

Cos’è una meringa?

E’ una schiuma che ha aria all’interno, con bollicine d’aria circondate dalle proteine dell’albume d’uovo. Tutto intorno c’è una soluzione di acqua e zucchero: uno sciroppo. A seconda della concentrazione di questo sciroppo, cioè della quantità di zucchero disciolta, otterremo consistenze molto diverse: dalla soffice meringa italiana (ricetta N.2) al friabile torrone tradizionale (ricetta N.1).

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 RICETTA N.1: TORRONE TRADIZIONALE

torrone


Ingredienti :
500 g di miele
500 g di zucchero
Acqua
Zucchero
3 Albumi d’uovo
Nocciole o mandorle tostate
Ostie da pasticceria q.b.

 

Procedimento

Scaldare piano piano il miele sul fuoco, fino a farlo ridurre e quasi solidificare.
A parte montare a neve 3 albumi d’uovo e incorporarli pian piano al miele caldo in modo da ottenere una consistenza spumosa.  Aggiungere il caramello molto chiaro preparato a parte con zucchero e poca acqua. Unire al tutto le mandorle o le nocciole tostate e finemente tritate (anche canditi desiderate!). Versare tra due listarelle di ostia da pasticceria.

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RICETTA N.2:  NUOVA MERINGA ITALIANA AL TORRONE

Variazione sul tema della Nuova Meringa Italiana tratta da “Il gelato estemporaneo e altre invenzioni gastronomiche” di Davide Cassi e Ettore Bocchia. Ed. Sperling e Kupfer.

meringa

 

Ingredienti :
100 g di albumi
7 cl di acqua
150 di fruttosio
Un pizzico di acido citrico o qualche goccia di limone
Nocciole o mandorle tritate finissime

Procedimento

Montare a neve gli albumi insieme all’acqua, al fruttosio e al pizzico di acido citrico in polvere. Aggiungere alla base montata a neve la farina di nocciole o mandorle. Disporre il composto in stampini di materiale non metallico. Cuocere al microonde, a potenza bassa, fino a che la meringa non acquisisce consistenza (non deve deformarsi permanentemente con una leggera pressione del cucchiaio).  Utilizziamo il microonde perché produce una cottura più omogenea.
E’ una testura sorprendente che svanisce in bocca in un istante liberando sentori freschi e delicati (il fruttosio qui gioca un ruolo fondamentale). L’acido citrico serve a correggere la dolcezza eccessiva del fruttosio.
Nelle meringhe classiche si consiglia di aggiungere zucchero a velo agli albumi già montati Il motivo è che lo zucchero, tendendo ad assorbire acqua, soprattutto se in polvere, disidrata le proteine inibendo la formazione della schiuma. Ma in questo caso, la quantità d’acqua addizionata rende l’effetto trascurabile.

La scienza che ci sta dietro

L’albume è formato da tanta acqua, circa l’88 %, e dall’11% di proteine, queste sono in gran parte anafifiliche, cioè agiscono da emulsionanti formando una schiuma: la chiara d’uovo montata.
La schiuma è costituita da una parte acquosa che racchiude le bolle d’aria circondate dalle molecole anafifiliche, sbattendo con la frusta introduciamo aria fino a che le bollicine diventano tante, in proporzione all’acqua,da compattarsi e opporre resistenza allo scorrimento ed è proprio a questo punto che l’albume è montato a neve.
Le proteine emulsionanti sono presenti in misura molto maggiore rispetto alla quantità minima richiesta per montare l’albume a neve.
Se non si può procedere ulteriormente con l’introduzione d’aria è perché non c’è più acqua a sufficienza per circondare le bolle.
Allora perché non aggiungere acqua per poter incorporare maggior quantità di aria?
Più acqua si aggiunge, più la schiuma si gonfia, finchè non si arriva al limite massimo di stabilità: a quel punto, le proteine presenti non bastano più e   non riusciamo ad ottenere una schiuma ferma e solida.

Quando la pressione aiuta a dare il meglio. Anche in cucina

dalla rivista di scienza ‘Newton‘ di ottobre 2010

di Chiara Albicocco e Davide Cassi

E’ un fisico e matematico francese l’inventore della pentola a pressione. Denis Papin fu il primo ad intuire, grazie ai lavori svolti su un battello a vapore, che era possibile cuocere i cibi ad una temperatura superiore a 100°C e in tempi più brevi rispetto al normale.
Nel 1679 mise a punto la sua invenzione: il digesteur descrivendolo come “ la macchina per intenerire le ossa e cuocere tutti i tipi di carne in breve tempo e con poca spesa”.
Il meccanismo ideato da Papin è oggi assai noto, ma allora l’utilizzo di una valvola spinta dal vapore acqueo era un’assoluta novità. Papin però non era portato per il commercio, e non riuscì ad arricchirsi vendendo la sua macchina, che peraltro era abbastanza complessa, ingombrante e difficile da gestire.  La pentola a pressione moderna fu prodotta solo nel 1927 dall’azienda tedesca Silit e si diffuse nelle cucine di tutto il mondo soltanto a termine della seconda guerra mondiale. La pentola a pressione si utilizza nella preparazione di piatti che necessitano di una lunga cottura perchè è in grado di cuocere gli alimenti più rapidamente del normale.
Il principio di funzionamento è semplice: il punto di ebollizione dell’acqua non è fisso e varia a seconda della pressione. E’ lo stesso fenomeno per cui in montagna ad elevate altitudini, dove la pressione atmosferica diminuisce, il punto di ebollizione si abbassa. Ad esempio, in cima al Monte Bianco l’acqua bolle a circa 84°C! E’ improbabile riuscire a preparare un impeccabile piatto di pasta in una baita di montagna poiché, anche se l’acqua bolle prima, la temperatura di cottura è bassa e quindi la pasta tarda a cuocersi correttamente e mantiene sempre una consistenza ‘al dente’. Se vi venisse voglia di pasta su Marte… lasciate perdere! La temperatura media è -60°C e la pressione di circa 6 millibar: l’acqua comincia a bollire 10°C. Scordatevi di cucinare un buon piatto di bucatini a meno che non portiate la pentola a pressione…
Questo tipo di pentola funziona per gli stessi principi fisici ma, nel momento in cui il coperchio viene sigillato e l’acqua si trasforma dallo stato liquido a gassoso, la pressione all’interno cresce e, di conseguenza, anche la temperatura di ebollizione aumenta fino a raggiunge anche i 120°C. Non esistono altri metodi per innalzare così sensibilmente la temperatura di ebollizione, perchè normalmente il liquido evapora e si disperde. La pentola a pressione invece è ermeticamente chiusa e il vapore non è in grado di fuoriuscire.
Ciò evita la grande dispersione di calore che si produce nelle normali cotture in pentola: per trasformare una grammo d’acqua a 100 gradi in vapore sono infatti necessarie ben 540 calorie!  Una volta raggiunta la pressione massima di circa 2 atmosfere, la valvola di sicurezza posta sul coperto sfiata e libera una parte di vapore. Tutti i modelli attualmente in commercio sono dotati di questo dispositivo di controllo e di indicatori acustici che permettono di mantenere la temperatura e la pressione costante, eliminando automaticamente il vapore acqueo in eccesso.
Il momento più delicato è quando il coperchio viene rimosso e un grande quantità di gas e vapori si libera rapidamente: in questa fase è possibile ustionarsi. Di recente è stato inventato anche un sistema di decompressione che riduce la pressione interna e scarica il vapore in maniera graduale prima dell’apertura.
Ma la pentola a pressione può scoppiare? In effetti sì, ma è raro e i motivi sono solitamente il malfunzionamento della valvola di sfogo o qualche ostruzione ai dispositivi di sicurezza e decompressione. Ovviamente la pressione all’interno della pentola cresce e il vapore, una volta raggiunta la saturazione, deve fuoriuscire. Infatti è importante seguire poche e semplici regole per evitare spiacevoli conseguenze: non riempirla eccessivamente oltre il livello indicato; abbassare sensibilmente la fiamma una volta che la valvola emette il fischio; far uscire completamente il vapore prima di rimuovere il coperchio; pulire bene la valvola una volta finito l’utilizzo.
Per saperne di più l’UNI – Ente nazionale italiano di unificazione – ha pubblicato la norma UNI EN 12778:2006 relativa all’uso della pentola a pressione per uso domestico.
Questo strumento richiede le stesse cautele e la stessa attenzione di tutti gli strumenti da cucina, ma se ci si abitua ad usarla, ci si rende conto che il tempo di cottura dei cibi è evidentemente accelerato. Infatti la pentola a pressione è particolarmente indicata per le carni a lunga cottura (stufati, spezzatini, goulash, cassoela) ma anche per la preparazione di zuppe e minestre. Nel caso dei cereali e dei legumi, ad esempio, la cottura in pentola a pressione ne aumenta la digeribilità in quanto rende le proteine più solubili e assimilabili dal nostro organismo.

 

RICETTA: Insalata russa a pressione

Ingredienti

200 gr Piselli

3 Patate grosse

4 Carote

10 cetriolini sott’aceto

300 gr maionese

Procedimento

Tagliare a dadini le patate e le carote

Mettere le verdure nella pentola a pressione efarle bollire per 2 minuti

Scolare le verdure e lasciarle raffreddare.

Mescolare tutte le verdure con la maionese, meglio se fatta in casa, e decorate con cetriolini e uova sode

DolceMente 2010

In molti ci avete chiesto di pubblicare le date di incontri e conferenze su temi cari alla cucina scientifica.
Nel week end del 2-3 ottobre si tiene a Pisa la manifestazione DolceMente – I dolci artigianali della tradizione toscana.
Tra gli eventi in programma ( Vai al sito dell’evento! ) c’è anche  la possibilità di incontrare Davide Cassi sabato alle 11 durante l’incontro:
Il punto della situazione sul lato dolce della cucina molecolare. Esperti e giornalisti si confronteranno sull’applicazione della scienza in cucina.
Sono previste dimostrazioni pratiche e laboratorio dalle  14.00 alle 18.00

Per maggiori info: www.dolcementepisa.it

Se le bollicine sono una questione di ‘metodo’

dalla rivista di scienza ‘Newton‘ di agosto 2010

di Chiara Albicocco e Davide Cassi

Nell’articolo di luglio ci siamo occupati delle bevande gasate analcoliche, qui esploriamo il segreto delle bollicine alcoliche, ovvero dell’anidride carbonica contenuta nei vini spumanti, nelle birre, nel sidro ed altro ancora. Questo gas si forma grazie all’azione di lieviti appositamente selezionati dai viticoltori e aggiunti dopo la prima fermentazione dell’uva, per questo il processo prende il nome di rifermentazione o presa di spuma. Per produrre, ad esempio, i vini spumanti esistono due metodi principali: il metodo Champenois detto anche ‘classico’ e il metodo Martinotti-Charmat. Il primo è una fermentazione in cui i lieviti sono aggiunti direttamente nella bottiglia. Durante il periodo di invecchiamento questi lieviti attaccano gli zuccheri del vino trasformandoli in alcol etilico e anidride carbonica. La quantità di zuccheri aggiunti in questa seconda fase determina la qualità e l’effervescenza del vino, da extra brut ad abboccato. Alla fine di questa fase le bottiglie vengono riposte a ‘testa in giù’  in appositi supporti di legno (pupitres) e i residui dei lieviti ormai inerti defluiscono verso il tappo. Una volta che i sedimenti si sono depositati viene congelato il collo della bottiglia, immergendolo per circa 4 cm in una soluzione di salamoia. A questo punto si stappa la bottiglia e la pressione al suo interno fa uscire il blocco di ghiaccio appena creato. Il processo si chiama degorgement o sboccatura. Infine si passa alla chiusura definitiva con il tipico tappo a fungo.
Per gli spumanti dolci invece si utilizza preferibilmente il metodo Charmat in cui i lieviti producono la fermentazione, prima dell’imbottigliamento, all’interno di autoclavi pressurizzati (grosse cisterne di acciaio ermetiche). Questo sistema esalta le note fruttate e l’espressione dell’aroma tipico dei vitigni Moscato, Brachetto o Malvasia. Per questi vini non viene usato il metodo classico con la rifermentazione in bottiglia perché nuocerebbe alle caratteristiche organolettiche e non manterrebbe la freschezza degli aromi.
Il metodo Charmat è utilizzato anche nei processi industriali per gli spumati brut, soprattutto Pinot e Chardonnay, in quanto consente una lavorazione più rapida, meno costosa e a produzione continua.
Per la birra e il sidro il principio è lo stesso, si aggiungono i lieviti durante la fermentazione e gli zuccheri vengono trasformati in alcol etilico e anidride carbonica.
Come vi abbiamo spiegato per le bollicine analcoliche anche quelle alcoliche si manifestano solo quando la bottiglia viene stappata. La pressione si abbassa, l’anidride carbonica diventa meno solubile e tende a liberarsi verso l’alto sotto forma di bolle di gas.

Ricetta  –  Sidro casalingo

Ingredienti

- 4 Kg di mele mature

- 1 panetto di lievito di birra

- 1 g di acido ascorbico (vit. C) oppure il succo di due limoni

- 500 g di zucchero

- Fiasco da 5 litri

Procedimento

- Ridurre in purea la frutta, aggiungere circa mezzo litro d’acqua, lo zucchero e l‘acido ascorbico (prima che la frutta diventi nera). Infine aggiungere il lievito disciolto in poca acqua tiepida.

- Con un imbuto introdurre il composto nel fiasco e chiudere con un tappo, meglio se ‘colmatore’ (permette l’uscita della anidride carbonica e di impedisce l’ingresso dell’aria)

- Conservare a temperatura di circa 22 °C

- Poiché la parte solida della frutta  tenderà a salire spinta dalla anidride carbonica, una volta al giorno agitare delicatamente il fiasco

- Dopo due settimane il sidro è pronto.  Filtrare con un colino e imbottigliarlo

- Se desiderate un sidro un po’ più frizzante, aggiungete due cucchiaini di zucchero e tappate con tappo a corona

Le bollicine di CO2: libere e piccanti quando cala la pressione

dalla rivista di scienza ‘Newton‘ di luglio 2010

di Chiara Albicocco e Davide Cassi

…con tutte quelle, tutte quelle bollicine…
Così il ritornello di una delle più famose canzoni di Vasco Rossi celebra l’anidride carbonica contenuta nella Coca Cola. Nella bottiglia aperta di Coca Cola. Perché, non so se ci avete mai fatto caso, nelle bottiglie ancora sigillate le bollicine non si vedono. La spiegazione è da ricercarsi nella pressione. Un gas è tanto più solubile in un liquido quanto più la pressione è alta. Quando la bottiglia di una bevanda gasata è ancora chiusa, la pressione del gas all’interno è alta e l’anidride carbonica è molto solubile, completamente disciolta. Quando si toglie il tappo, la pressione diminuisce e il gas che c’è all’interno si libera rapidamente, producendo colonne di bollicine che dal fondo migrano verso l’alto.
Questo rapporto tra solubilità e pressione è tipico dei gas. Per capire meglio cosa succede si può fare anche l’esperimento contrario: se aggiungiamo l’anidride carbonica all’interno di una bottiglia d’acqua, chiudiamo il tappo e agitiamo, osserveremo un’implosione; un accartocciamento della bottiglia dovuto alla diminuzione di pressione provocata dallo scioglimento del gas nel liquido.
L’anidride carbonica è anche responsabile del senso di pizzicore che sentiamo in bocca quando beviamo una bibita gasata. Questa sensazione infatti  è provocata dall’acido carbonico che si sprigiona quando l’anidride carbonica viene disciolta in acqua, ed è completamente assente quando le bollicine sono formate da altri gas o da aria.
Per ottenere in casa le bibite gasate analcoliche è sufficiente aggiungere biossido di carbonio (anidride carbonica o CO2) al liquido tramite un sifone da seltz oppure attraverso il metodo più tradizionale ed economico, cioè l’aggiunta di bicarbonato di sodio e acido tartarico. Si tratta di sostanze in polvere facilmente reperibili in farmacia. Il bicarbonato è un sale basico noto per le sue proprietà digestive. L’acido tartarico invece è di origine naturale, si estrae dall’uva; è commestibile e normalmente usato per la lievitazione dei dolci. Insieme queste due sostanze, una basica e l’altra acida, disciolte in una bottiglia d’acqua tappata, reagiscono e liberano anidride carbonica. Il gas così formato si libererà sotto forma di bollicine una volta tolto il sigillo.
Un ultimo suggerimento: se al posto dell’acido tartarico si utilizza quello citrico (reperibile al supermercato) si ottiene un piacevole gusto di limone, che con l’aggiunta di un po’ di zucchero, darà vita alla ‘gazzosa’.
Il metodo è semplice come bere un bicchier d’acqua… La questione si complica nel caso delle bevande alcoliche e dei vini gasati come lo champagne o lo spumante. Ma questa è un’altra storia e ve la racconteremo nel prossimo numero!

 

Ricetta – Tisane e bibite gasate fai da te

- Procurarsi bicarbonato di sodio e acido citrico o tartarico in polvere

- Preparare una bottiglia d’acqua o di bevanda aromatizzata a temperatura ambiente. Non riempirla fino all’orlo; lasciare spazio all’anidride carbonica che si formerà

- Versare 5 gr di bicarbonato e 4 gr di acido citrico (o tartarico a seconda del gusto). Con queste dosi si ottengono circa 9 gr di anidride carbonica utili per 1 litro di acqua

- Il bicarbonato è amaro, quindi la regola grossomodo è: se il sapore è amaro aggiungete un po’ di acido; se è troppo acido aggiungete un pizzico di bicarbonato

- Tappare la bottiglia, con tappi ermetici per evitare la dispersione del gas

- Capovolgerla più volte finché le polveri non si siano completamente sciolte

- Porre in frigorifero e gustare durante una pausa di freschezza

Schema del procedimento

Schema del procedimento

Il formaggio mesopotamico e la coagulazione

dalla rivista di scienza ‘Newton‘ di giugno 2010

di Chiara Albicocco e Davide Cassi

Nella Mesopotamia del III millennio a.C. si produceva il formaggio. Esiste un bassorilievo, denominato “Il fregio della latteria”, che raffigura dei sacerdoti sumeri intenti a lavorare la cagliata. Da allora l’uomo si è ingegnato ed adoperato per produrre tutta la varietà di formaggi che oggi conosciamo. L’intuizione del prezioso prodotto si perde nella notte dei tempi, quando gli uomini cacciatori trovarono una sostanza semi-solida nello stomaco di alcuni giovani capretti: scoprirono così la prima casuale cagliata della storia. Quello che avvenne allora è quello che accade oggi. Il fenomeno è noto come coagulazione delle proteine del latte ad opera del caglio, che è un composto di enzimi estratti dall’abomaso degli ovini (usato per i formaggi DOP). In commercio si trova anche il caglio prodotto da organismi geneticamente modificati e di origine vegetale (lattice del fico). Questi enzimi sono in grado di far coagulare la caseina del latte, ottenendo così la separazione tra cagliata e siero. La caseina è la proteina più abbondante; costituisce da sola l’80% delle proteine totali del latte. La sua catena di aminoacidi è per la maggior parte idrofoba, ma possiede anche alcuni frammenti idrofili. Questa specifica caratteristica le permette di aggregarsi in micelle sferiche che dispongono la parte idrofila verso l’esterno, cioè verso l’acqua, che è la componente principale del latte, e quella idrofoba verso l’interno (vedi immagine qui sotto). La stabilità delle micelle è dovuta a fattori di idratazione e di carica superficiale, questo permette di comprendere come un attacco enzimatico o una variazione di pH (acidificazione) possano determinare la precipitazione delle proteine. La denaturazione e la successiva coagulazione della caseina possono infatti avvenire in due modi, che producono coaguli con proprietà diverse: attraverso l’aggiunta di caglio, come si usa tradizionalmente nell’industria casearia, si ottiene una cagliata presamica o enzimatica, tipica di formaggi dalla consistenza dura (parmigiano e pecorino); oppure attraverso l’azione di una sostanza acida (limone o aceto) si forma una cagliata acida, propria di formaggi dalla pasta morbida e cremosa (caprini e Philadelphia). Da queste poi si possono produrre una varietà quasi infinita di formaggi: quelli più freschi si ottengono da una cagliata rotta in frammenti di grosse dimensioni; quelli più duri da una cagliata ridotta a pezzetti molto piccoli, rimescolati, compressi e lasciati stagionare per periodi variabili da pochi giorni a qualche anno.

Struttura della micella della caseina

Struttura della micella della caseina

 

 

 

 

 

 

 

 

Ricetta – Formaggella casalinga senza caglio

- Versare 4 litri di latte crudo (non pastorizzato) in una pentola, lasciare riposare per un’ora

- Riscaldare il latte a fuoco moderato, fino al raggiungimento di 37° – 38°C

- Spegnere il fornello e aggiungere 150 ml di succo di limone (5 limoni) e mescolare bene

- Lasciare riposare un’ora

- Rompere la cagliata con un coltello e con una frusta da cucina

- Estrarre la cagliata con una schiumarola ed introdurla in un cestino forato (fuscella) fino al riempimento

- Lasciare sgocciolare affinché fuoriesca tutto il siero in eccesso

- Cospargere di sale entrambi i lati della formaggella

- Aromatizzarla a piacimento (pepe, erba cipollina, rucola, etc)

Gnocchi “del cavolo” rosso

Il colore che si scioglie in bocca

RICETTA di Nicola Passarelli

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Ingredienti per 3 persone

Per gli gnocchi:
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Cavolo rosso   130  gr
Amido di frumento (frumina) 20 gr
Amidi di riso 10 gr
Ricotta 40  gr
Sale

 

 

 

Preparazione

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Cuocere le foglie del cavolo rosso per 15 minuti in acqua salata e bollente. Scolare e freddare in abbondante acqua fredda.
Per il gel d’amido che sarà la base per confezionare gli gnocchi: mescolare il cavolo frullato, con gli amidi(foto 1), dopo di che procedere alla gelatificazione mettendo il composto in un pentolino sul fornello a fiamma moderata e attendere che da liquido diventi solido assumendo l’aspetto gelatinoso, avendo cura di girarlo per evitare che si attacchi al fondo, nel caso sì un termometro da cucina la temperatura dovrà essere intorno ai 70°.

 

 

 

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A questo punto lasciare raffreddare. Al gel d’amidi aggiungere la ricotta  e mescolare per ottenere un impasto compatto e morbido. Ora sarà pronto per preparare i nostri gnocchi.

 

 

 

 

 

Per la salsa di fave e patate

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Fave  45 gr fave sgusciate (corrispondono a circa 150/200 gr di fave )
Patate  45 gr di patate bollite
Latte  90gr di latte intero
Sale

 

 

 

Per accompagnamento e condimento degli gnocchi preparare una salsa composta di fave e patate.
Sgusciare le fave, metterle a bollire in acqua bollente per un paio di minuti, scolarle e freddarle in acqua e ghiaccio. Utilizzare solo la parte interna della fava.
Le patate bollite e le fave andranno frullati insieme aggiungendo il latte, così da ottenere una salsa cremosa dall’aspetto morbido, che al momento di essere utilizzata sarà fatta scaldare.

 

Peperoni cruschi 

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 8¼ di un peperone

 

Questa è una preparazione tipica della Lucania. Sono peperoni seccati al sole, una volta raccolti. Per farli diventare ”cruschi” cioè croccanti e friabili vanno puliti con un panno umido, tagliati a metà; si tolgono i semi e vengono rosolati a pezzi in olio d’oliva.

 

 

 

 

 

Perle di glutine

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Farina O  50 gr
Acqua  20/25 gr

 

 

 

 

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Per le perle di glutine Impastare la farina con l’acqua. Lavorare per circa 10 minuti e poi sciacquare l’impasto ottenuto sotto l’acqua di un rubinetto: in questo modo l’amido si stacca dal glutine. Continuare fino a che non si avrà un impasto gommoso tra le mani e l’acqua del risciacquo, risulterà pulita, questo significherà che l’amido si sarà staccato completamente dal glutine.
Dal glutine ottenuto tagliare dei piccoli pezzettini, disporre su di una teglia da forno e cuocere per circa 5 minuti in forno alla temperatura di 170/180°.

 

 

 

Assemblaggio

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Scaldare la salsa di fave e patate in un pentolino, nel frattempo cuocere per circa 3 minuti gli gnocchi in acqua bollente salata.

 

 

 

 

 

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Versare la salsa su di un piatto, adagiarvi gli gnocchi e disporre le fave sgusciate. Posizionare le perle di glutine e i pezzettini di peperoni ”crsuchi”.

 

 

 

Commento
Un nuovo piatto con i soliti ingredienti.
Nuovo nella tecnica di esecuzione, ma gli ingredienti sono comuni, che si possono trovare in un qualsiasi supermercato.
L’amido è una macromolecola formata da innumerevoli catene di molecole di glucosio: elemento fondamentale per il funzionamento del nostro cervello. Queste molecole disperse in un liquido se sollecitate dal calore, si uniscono formando un gel, infatti, ho mescolato due tipi di amidi in un composto umido che ho portato in un secondo tempo ad una temperatura di circa 70° ottenendo così un gel che poi ho utilizzato per fare questi gnocchi. Questo argomento degli amidi viene ampiamente affrontato nel libro ”Il gelato estemporaneo”di Davide Cassi ed Ettore Bocchia.
Un altro elemento innovativo, oltre gli gnocchi e il loro insolito colore, sono le perle di glutine, molto semplici da eseguire come ho spiegato sopra.Il glutine e l’amido in questa ricetta sono impiegati per due distinte preparazioni e non sono legati insieme all’interno di qualche alimento come potrebbe essere la pasta o il pane, l’incontro avviene nella nostra bocca.
I peperoni possono essere una nota classica in una composizione moderna dove i colori hanno un ruolo importante per identificare il piatto. Il viola ottenuto dal cavolo rosso è un colore che non si utilizza spesso. E’ possibile ottenerlo anche usando un tipo di patata la cui polpa è di colore viola, ma non molto facile da trovare. Le fave sono un prodotto della primavera e danno un tocco di freschezza al piatto .Ogni elemento ha un suo ruolo nell’armonia del piatto, dove si contendono la scena elementi: colorati, innovativi e tradizionali che hanno come comune denominatore la semplicità.
Con questa preparazione si ha la possibilità di cucinare piatti per persone che hanno problemi  relativi ad intolleranze alimentari, come ad esempio i celiaci che non possono mangiare alimenti con il glutine. Per  fare gli gnocchi si possono usare anche amidi diversi dalla  frumina che ho usato in questa ricetta,infatti,la frumina potrebbe contenere tracce di glutine visto che si tratta dell’amido del frumento. Un’altra categoria di persone che potrebbero trarre beneficio sono tutti coloro che hanno problemi alla masticazione e alla deglutizione, basti pensare ai malati con patologie degenerative come la malattia di alzheimer, infatti, queste persone ad un certo periodo della malattia cominciano ad avere problemi di masticazione e deglutizione, un alimento di questo tipo che si scioglie lentamente in bocca rilasciando i suoi aromi e sapori permetterebbe di variare un po’ la loro dieta: fatta di semolino e frullati.

Cioccolato, quando la struttura molecolare influisce sul gusto

dalla rivista di scienza ‘Newton‘ di Maggio 2010

di Chiara Albicocco e Davide Cassi

Il cielo visto attraverso la chioma di una grande quercia.
Così il chimico Peter Fryer descrive la struttura del cioccolato. Se potessimo sbirciare l’anima di una tavoletta, vedremmo piccoli cristalli di burro di cacao e di zucchero organizzati in fitte reti intricate, proprio come i rami e le foglie compongono l’intreccio naturale delle fronde di un albero.
La disposizione fisica delle singole molecole attribuisce al cioccolato le caratteristiche organolettiche che lo rendono apprezzabile da tutti i palati. E non è solo una questione di tipologia: al latte, fondente, con le nocciole e così via. Andiamo dritti alla sostanza! A seconda di come le molecole si posizionano nello spazio, si hanno consistenze e testure differenti e, di conseguenza, anche gusti distinti.
Due cioccolatini preparati a partire dalla fusione dello stesso cioccolato  possiedono una struttura differente a seconda di come il burro di cacao e lo zucchero si dispongono, ma anche a seconda della geometria microscopica del burro di cacao.  cioccolatoE’ da pochi anni che conosciamo a fondo la struttura, o meglio le sei strutture, del cioccolato. Nel 2000 un’equipe di chimici britannici, grazie all’applicazione della diffrazione di raggi X e alle strumentazioni che analizzano le proprietà termiche dei materiali sottoposti a raffreddamento, sono riusciti a individuare le sei strutture che  può assumere  microscopicamente il burro di cacao (ved. tabella). Quest’ultimo è costituito da una miscela di trigliceridi, composti a loro volta da tre molecole di acidi grassi e da una di glicerina. Il trigliceride prende un nome differente a seconda dell’acido che lo costituisce: si chiama POP il trigliceride formato da due molecole di acido palmitico agli estremi ed una di acido oleico al centro; POS è quello composto dall’acido palmitico, oleico (al centro) e stearico; prende il nome di SOS il trigliceride costituito dall’acido oleico al centro e da due molecole di stearico agli estremi.
I pasticceri prediligono la struttura che più delle altre favorisce il rapido scioglimento quando il pezzetto di cioccolato arriva in bocca, attorno ai 32°C. La struttura, chiamata ‘Forma V’ è quella che più si avvicina a questa caratteristica. Ha una temperatura di fusione di circa 33,8°C (il valore esatto cambia a seconda della composizione esatta del burro di cacao, che varia al variare dell’origine e del tipo di cacao utilizzato) e si manifesta con quel bel aspetto lucido, estremamente piacevole alla vista e soprattutto al gusto.
Col tempo però questa struttura instabile tende a trasformarsi nella ‘Forma VI’, molto meno piacevole ma più stabile. Il cioccolato che rimane in dispensa per lungo tempo e diventa biancastro e poco gustoso rientra in questa categoria.
Ci sono accorgimenti e ‘trucchi’ per rendere il cioccolato lucido, la tecnica precisa prende il nome di temperaggio (ved. ricetta) e consiste nel portare il cioccolato a tre diversi livelli di temperatura così da raggiungere la stabilità della ‘Forma V’ e migliorarne la brillantezza e la consistenza.

Tabella: Polimorfismo del burro di cacao

Polimorfismo Punto di fusione (°C) Condizioni
Forma I

17,3

Raffreddamento rapido
Forma II

23,3

Raffreddamento rapido a 2°C, poi 1 ora a 0°C
Forma III

25,5

Solidificazione a 5-10°C
Forma IV

27,3

Solidificazione a 16-21°C
Forma V

33,8

Dopo il temperaggio. Lucida e compatta
Forma VI

36,3

Dalla Forma V  (4 mesi a temp. ambiente)

RICETTA:

Sacher sfavillante grazie al temperaggio
sacher
 - Fondere il cioccolato  ad una  temperatura massima di 40°
 - Farlo raffreddare, abbassando la temperatura a 26-27°
 - Metterlo nuovamente sul fuoco a bagnomaria per riportare la temperatura a 31°

Utilizzate ora il cioccolato ottenuto come più vi piace, o mettendolo nelle formelle per i cioccolatini, oppure, molto più scenografico, utilizzandolo per ricoprire la Sacher Torte.

 

 

Schema del procedimento

Schema del procedimento