Buongiorno a tutti gli amici della Cucina Scientifica di Moebius!
Non ci si sente da qualche tempo: ho dedicato gli ultimi mesi ad un’importante ristrutturazione del laboratorio, che ora funziona a gonfie vele.
Oltre ai collaboratori storici sono entrati a far parte della famiglia tre borsisti post-doc fissi, una laureanda e diversi aspiranti tesisti.
E la prossima settimana inaugureremo anche il nuovo locale dispensa!
Dunque torneremo a sentirci con più assiduità.
Nel frattempo vi comunico due novità on-line:
-potete contattarci su facebook, l’utente si chiama Lab Fisica Gastronomica
-da giugno potete seguire le mie “meditazioni” scientifico-gastronomiche sul nuovo blog personale “Il Gastronomo Scientifico” http://gastronomoscientifico.blogspot.it/
La cottura al microonde è simile, come principio, alla cottura che si può ottenere con la luce del sole. I raggi solari vengono assorbiti tantissimo dai corpi scuri – in particolare da quelli neri – che quindi si scaldano molto, ma vengono riflessi dai corpi bianchi, che si scaldano molto meno. Rispetto alla luce solare, le microonde hanno una frequenza molto inferiore e reagiscono in maniera diversa con la materia: non vengono assorbite dalla superficie dei corpi, ma penetrano all’interno. Nell’acqua, che è in assoluto l’ingrediente gastronomico che ne assorbe di più, riescono ad arrivare fino a tre centimetri di profondità, riscaldando tutto lo strato attraversato. Col forno a microonde, quindi, gli alimenti si scaldano subito anche in profondità, mentre con gli altri tipi di cottura il calore attacca la superficie e solo dopo si diffonde, lentamente, all’interno.
Per questo motivo con le microonde non si può ottenere uno strato esterno croccante, per il quale occorre disidratare l’alimento in superficie e non all’interno. L’effetto è possibile con la frittura o la cottura in forno molto caldo o alla brace. Al microonde, la pasta al forno non si può fare, e nemmeno il pane.
L’uso del forno a microonde richiede alcuni accorgimenti. Occorre evitare contenitori di metallo, sia perché riflettono le onde e quindi impediscono la cottura, sia perché se hanno spigoli vivi possono generare scintille potenzialmente pericolose. Contenitori in plastica, ceramica e vetro sono invece trasparenti alle microonde, che li attraversano senza scaldarli.
Non si devono cuocere le uova col guscio, così come le patate con la buccia senza avere l’accortezza di bucarla: le microonde riscaldano l’acqua all’interno, questa evapora e crea uno scompenso di pressione che fa esplodere l’involucro.
Attenzione infine se si vuole bollire l’acqua. Scaldando in modo uniforme, tra la superficie e la base del recipiente non si crea quella differenza di temperatura che in un tegame sul fornello provoca la risalita delle bolle. Si arriva invece a uno stato di calma apparente, detto metastabile: basta una piccola perturbazione, un movimento della mano o un granello di zucchero introdotto involontariamente, per innescare un’ebollizione improvvisa con fuoriuscita di bolle e rischio di ustioni.
Dall’articolo del mensile di scienza Newton – luglio N.17 di Davide Cassi e Chiara Albicocco
“Ero stufo di mousse pesanti e senza gusto. Grazie al sifone usato per montare la panna ho capito di aver trovato la macchina giusta per poter realizzare spume di verdure, frutta fresca e secca, erbe e spezie”. Così uno dei cuochi più apprezzati del mondo, Ferran Adrià, spiega la sua intuizione di utilizzare il sifone per rendere spumoso qualsiasi ingrediente mai montato prima. E’ il 1994. Questa data segna la nascita della cucina scientifica creativa e l’ascesa -non ancora conclusa- del celeberrimo chef, soprannominato ai tempi ‘Mister Sifone’. Oggi gli chef più quotati del mondo realizzano grazie al sifone spume di salmone, di pomodoro, di cioccolato bianco e il nostro Massimo Bottura ha addirittura inventato quella di mortadella.
Per chi non conoscesse il sifone, basterà dire che l’aspetto è molto simile all’erogatore di soda seltz che utilizzano i baristi per i cocktail. Si presenta quindi come un contenitore stretto e lungo di metallo con un coperchio sul quale si trovano una valvola di uscita, una leva per azionare l’erogatore e un cilindro dove si inserisce la cartuccia del gas da insufflare nel contenitore. Il gas generalmente usato nelle bombolette è l’ossido di diazoto, conosciuto anche come protossido di azoto o gas esilarante (N2O), molto solubile in acqua e nei grassi. E’ lo stesso gas utilizzato nelle bombolette di panna montata pronta che si trovano sugli scaffali del supermercato.
Il costo di un sifone da 0,5 litri varia dai 20 ai 170 euro (quello professionale) e una confezione di ricariche da 10 capsule di gas costa circa 9 euro.
Il sifone è dunque uno strumento innovativo e rivoluzionario molto usato nelle cucine dei ristoranti, ma che si sta diffondendo anche nelle nostre case. Qui cercheremo di capire il segreto di questo attrezzo che conferisce agli ingredienti una texture d’incredibile scioglievolezza.
La sensazione di leggerezza è data esclusivamente dalle bolle di gas che vengono incorporate dall’ingrediente di base grazie all’aggiunta di sostanze gelificanti o emulsionanti come la gelatina o la panna fresca. Quando si preme la leva del sifone la pressione diminuisce (quella atmosferica è più bassa), il gas non è più solubile come prima e, creando delle bolle, gonfia la miscela.
I passaggi per creare le spume quindi sono semplici: preparare un composto liscio e senza grumi avendo cura di passare gli ingredienti più grossolani al frullatore (ad esempio se si utilizza carne, pesce o verdure); aggiungere la gelatina (la colla di pesce va benissimo) o la panna fresca; versare il liquido fino al livello indicato sul sifone; chiudere il coperchio; inserire la cartuccia di azoto nell’apposito cilindro; agitare e mettere in frigorifero almeno per un paio d’ore. A questo punto la spuma è pronta: durante l’erogazione il sifone va tenuto capovolto, altrimenti il gas sfiata inutilmente senza far uscire il composto che c’è all’interno. Questo succede perché il gas nel sifone, essendo più leggero, galleggia sul composto. Quando si capovolge lo strumento, il gas rimane sul fondo e, non appena si preme la leva, la schiuma fuoruscire dal beccuccio. Questa è una tecnica che permette di montare qualsiasi ingrediente dolce o salato, conservando intatte le proprietà nutritive di partenza e soprattutto il sapore.
Ricetta salata: Spuma di mortadella
150 gr di mortadella
100 gr di panna
100g di ricotta fresca
1 cucchiaio Parmigiano Reggiano
Frullare finemente la mortadella. Unire la panna, ricotta, parmigiano e un pizzico di sale e pepe. Versare il composto nel sifone. Chiudere, inserire la cartuccia di gas e agitare Mettere in frigo e servire all’occorrenza. Si conserva per un paio di giorni.
Ricetta dolce: Sifonata di lamponi
500g di lamponi
200g di zucchero
4 fogli di gelatina
Frullare finemente i lamponi con lo zucchero. Filtrare il composto per eliminare i semini della frutta. Aggiungere la gelatina sciolta in acqua. Versare il composto freddo nel sifone da 0,5 l, inserire la cartuccia del gas, agitare e mettere in frigo per un paio d’ore.
Il nostro professore Davide Cassi è stato ospite di Geo&Geo (Rai3) nella puntata del 31 maggio alle ore 17.50 per raccontarci i segreti dei fluidi non newtoniani, guarda il video!
Ma non è finita… è stato ospite anche nella puntata del 10 giugno 2011 per chiacchierare di cucina scientifica e azoto liquido… ve lo siete perso??? Ecco qui il video della trasmissione!
Dall’articolo del mensile di scienza Newton – Aprile N.14 di Davide Cassi e Chiara Albicocco
Cuocere a 65°C con il programma a pieno carico. Non è il comando di un forno tecnologicamente avanzato ma un nuovo tipo di cottura con l’utilizzo della lavastoviglie! Sì, avete capito bene, in questo numero vi spieghiamo come cucinare adoperando la lavapiatti.
Si tratta sicuramente di un metodo di cottura innovativo e inconsueto, di cui vi garantiamo i risultati ottimali con un valore aggiunto: il gusto e i nutrienti non evaporano e rimangono intrappolati negli alimenti. Ora vi spieghiamo il perché.
Per poter cuocere il cibo durante un lavaggio in lavastoviglie è assolutamente necessario riporre gli ingredienti dentro i sacchetti per il sottovuoto (quelli adatti alla cottura) oppure in barattoli di vetro chiusi ermeticamente. In alcuni eco-blog italiani e stranieri è caldamente consigliato utilizzare la lavapiatti come cuoci-vivande a pieno carico e sfruttare il lavaggio dei piatti sporchi per cuocere contemporaneamente pesce e verdure. E’ vero che il risparmio energetico è evidente, però noi vi suggeriamo di utilizzare la lavastoviglie vuota (senza piatti sporchi) e senza detergenti, perché, nonostante i sacchetti siano sigillati, il sapone dei piatti può essere corrosivo e contaminare gli alimenti.
Veniamo al funzionamento: la lavastoviglie durante un lavaggio arriva a temperature che variano dai 50 ai 70 °C, a seconda dell’intensità del programma prescelto. I litri d’acqua calda riversati sul sacchetto durante il programma di lavaggio cuociono il cibo all’interno con un meccanismo di trasferimento del calore detto ‘a convezione’. Questo calore è ottimale per la cottura di quei cibi che necessitano di temperature moderatamente elevate, ma prolungate nel tempo. La temperatura ideale per cuocere in questa situazione è circa 65 °C, pertanto dovrete scegliere il programma più adatto nel libretto di istruzioni della vostra lavastoviglie. Dopodiché non dovrete far altro che preparate gli ingredienti, imbustarli, sigillarli e far partire il lavaggio. Dopo circa un’ora il vostro piatto è pronto per essere servito, non avrà disperso le proprietà organolettiche e nutritive delle materie prime.
Con questo metodo si possono cuocere tutte le verdure appositamente tagliate ma anche il pesce e i molluschi (vedi ricetta a lato). Potete inoltre sperimentare questa tecnica per preparazioni più complesse come il cous cous vegetariano (in rete si trovano parecchie ricette).
Aggiungiamo un piccolo suggerimento: estraete le pietanze direttamente dalla lavastoviglie davanti agli occhi increduli dei vostri ospiti. Questa è la garanzia di una cena indimenticabile.
Ascolta l’intervista di Chiara Albicocco e Federico Pedrocchi
a Davide Cassi, il nostro “fisico buongustaio”
600 gr di seppie (per 4 persone)
Spicchio d’aglio
Prezzemolo
Sale e pepe q.b.
Procedimento
Inserire nel sacchetto per il sottovuoto le seppie ben pulite e tutti gli altri ingredienti (Foto 1 e 2). Sigillate il sacchetto (Foto 3). Inserite nella lavastoviglie il sacchetto (Foto 4) e azionatela con un programma che arrivi a 65°C. Dopo circa un’ora estraete il sacchetto davanti ai vostri ospiti, tagliate l’estremità superiore facendo attenzione a non scottarvi con il vapore che ne uscirà e buon appetito (Foto 5)!
Riparte Fenomenal, il programma di intrattenimento che mostra al pubblico tutto ciò che c’è di “fenomenale” nel terzo millennio. Condotto da Teo Mammucari. Ospite della prima puntata è il nostro Davide Cassi! GUARDA IL VIDEO! (per scaricarlo in maniera rapida: clicca con il tasto destro e ’salva oggetto con nome’)
La cucina scientifica e il nostro Prof. Cassi sono stati ospiti della trasmissione Il bello, il brutto e il cattivo in onda mercoledì 25 febbraio alle 21 su Rai5. RIGUARDA LO STRALCIO DELLA PUNTATA (per scaricarlo in maniera rapida: clicca con il tasto destro e ’salva oggetto con nome’)
Ma non finisce qui… Domenica 27 marzo alle 00.30 invece è andato in onda il servizio girato nella cucina di casa del nostro Prof. durante la trasmissione Innovation su la7. Il Prof vi insegna a cuocere con la lavastoviglie! QUI trovate la puntata in streaming.
…e di questo abbiamo parlato anche nel nostro blog!!! > VAI AL POST!
Il gastronomo francese Grimod de la Reynière, nel suo Almanacco dei golosi del 1807, guida annuale ai ristoranti di Parigi, presenta la favolosa ricetta del “rôti sans pareil“, letteralmente “arrosto senza eguali”. Si tratta di un colossale ripieno, formato da 17 volatili uno dentro l’altro, una specie di matrioska di uccelli da cucinare.
Si comincia con un’otarda, grande uccello terricolo che può raggiungere il metro di lunghezza e pesare fino a 20kg.
Dentro l’otarda si mette un tacchino.
Dentro il tacchino un’oca.
Il ripieno dell’oca è un fagiano.
Dentro il fagiano si mette un pollo.
E dentro il pollo? Un germano reale.
Poi è una faraona che finisce dentro il germano reale.
Faraona: ripiena di alzavola, che è un tipo di anatra.
Nell’alzavola? Una beccaccia.
Quindi una pernice dentro la beccaccia.
Dentro la beccaccia un piviere.
E nel piviere si mette una bella pavoncella.
Che conterrà una quaglia.
Ripiena con un tordo.
Nel tordo? Un’allodola.
E quindi un ortolano – una specie di passerotto – che finisce dentro l’allodola.
Nell’ortolano, infine, un canapino, altro passeriforme.
A questo punto c’è solo più lo spazio per un’oliva e due capperi.
De la Reynière ci dice che si tratta di una ricetta degli antichi romani, ma davvero si può pensare di cucinare un simile arrosto? E quali problemi fisici si celano dietro alla cottura?
Ne parliamo con Davide Cassi, il nostro “fisico buongustaio”
IDEA
Questi sono i passi che mi hanno condotto alla realizzazione di un prototipo di pasta e alla successiva elaborazione di una ricetta.
Non è tutta farina del mio sacco, ma questa volta ho sviluppato l’idea di Marco Autilio: indusrial designer diplomatosi presso l’istituto italiano del design di Perugia. Una bella idea la sua che ha suscitato subito il mio interesse per la realizzazione pratica di un prototipo che poi ho messo “in pentola”. Marco ha chiamato questo concept di pasta ‘clessidra ‘, un nome appropriato adatto al suo disegno.
La forma girata e le rigature che percorrono alternativamente all’interno e all’esterno questo particolare rigatone non mi ha certo facilitato la sua esecuzione pratica (ved. foto). Ho risolto il problema con due pezzetti di legno sulla cui superficie ho fatto delle incisioni con una sega così da poter imprimere le rigature sulla pasta (Foto 2 e 3).
Elaborato il sistema per forgiare questo prototipo sono passato alla realizzazione dell’impasto e dopo alcune prove ho scelto di fare uso di lecitina (Foto 1) che mi garantisce una maggiore plasticità così da poterlo lavorare con estrema facilità, garantendomi inoltre un colore più intenso e un migliore assorbimento del condimento quasi come fosse una pasta all’uovo, anche se non è proprio la stessa cosa. Stabilire lo spessore della sfoglia è stato un altro passo molto importante, infatti, il giusto spessore è uno degli elementi che concorrono alla buona tenuta della pasta durante la cottura, nel caso di questo formato è di 1,5/1,8 mm.
Vorrei chiarire che si tratta di un prototipo eseguito in modo artigianale come si vede dalle foto. Non ho la presunzione di affermare che tutto sia andato bene perché ci sono stati anche dei problemi che andrebbero risolti: ad esempio al centro, dove la pasta è girata, la cottura non arriva bene come alle estremità e a volte qualche “clessidra” si è rotta nei punti in cui ho saldato la pasta.
Sono soddisfatto del risultato che ho ottenuto con i miei limitati mezzi tecnici, alla fine la pasta ha un gradevole gusto e grazie alla lecitina utilizzata nell’impasto assorbe il condimento molto bene e al suo interno si nascondono dei pezzi di condimento che risultano una piacevole sorpresa durante la masticazione.
La preparazione richiede tempo soprattutto perché la pasta va essiccata in forno ad una temperatura di 60°-70° per circa tre ore.
Dopo avere disposto gli stampi sulla sfoglietta per dare la forma e fissato il tutto con i morsetti (Foto 4), la pasta è passata in forno per circa un’ora, dopodichè sono tolti i morsetti e si continua l’essiccatura per un’altra ora alla stessa temperatura. Durante questo periodo la forma si fissa e rimarrà tale anche dopo aver tolto gli stampi. La fase seguente sarà di immergere il pezzo di pasta ottenuto in acqua bollente per pochi secondi e di freddarlo subito in acqua. Una volta scolata si rimetterà di nuovo in forno per circa un’ora alla temperatura di 60/70°. In questa terza operazione di essiccamento la pasta assumerà un aspetto lucido e una maggiore resistenza (Foto 5).
Questa immersione in acqua bollente fa sì che all’esterno della pasta si formi una sottile pellicola protettiva che aumenterà la sua resistenza evitando che si spacchi una volta secca. Entrando nello specifico avviene che l’azione dell’acqua bollente provoca la gelificazione degli amidi in superficie che a loro volta sono imprigionati dalla struttura reticolata del glutine, che si è formato durante l’impastamento e che per azione del calore si compatta inglobando l’amido.
La stessa operazione era fatta in passato per la produzione della pasta come ad esempio per gli spaghetti che una volta trafilati erano immersi in acqua bollente per qualche istante, poi freddati e fatti essiccare per diverse ore.
Oggi quest’operazione è eseguita utilizzando il vapore.
Una volta ottenuto come risultato il prototipo la logica conclusione è di metterlo alla prova preparando una ricetta (Foto 6)…
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