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Rivista di scienza


Diálogos de Cocina

Torno, dopo la lunga pausa estiva, a riprendere il percorso iniziato qualche mese fa con la pubblicazione di “La nuova cucina scientifica” . Vi raccontavo di come il dibattito sui rapporti tra scienza e cucina, negli ultimi anni, fosse stato molto intenso. Tanto intenso che, all’inizio del 2007, Eurotoques, l’associazione europea dei cuochi, decide di organizzare un congresso in cui riunire cuochi, scienziati, scrittori, filosofi, ed altri protagonisti del dibattito. L’incontro si tiene a San Sebastian, e viene battezzato “Diálogos de Cocina”. La struttura del congresso è nuova e stimolante. Non ci sono dimostrazioni pratiche, ma solo conferenze e dibattiti. Ad ognuno degli invitati viene assegnato un tema da sviluppare, con un titolo suggestivo e non modificabile. Al sottoscritto tocca “Otras formas de ver”, che in italiano suona più o meno come “Altri modi di vedere”. Il tutto viene trasmesso in diretta su internet, e successivamente pubblicato in rete (chi volesse può trovare i video, che purtroppo non sono disponibili in italiano, cliccando QUI ).

Qui di seguito potete invece leggere il sunto in italiano di quell’intervento (già uscito in spagnolo su Cocina Futuro nel 2007). Lo spirito è decisamente diverso da quello dell’articolo precedente. Se là sostenevo le ragioni della ricerca e dell’innovazione, contro le paure e la miopia dei tradizionalisti ad oltranza, qui invece l’accento è sugli eccessi a cui può condurre un uso dogmatico e altrettanto miope della scienza. La letteratura e la rete straripano di esempi di questo cattivo utilizzo, ma sull’argomento ci soffermeremo un’altra volta. Per il momento, buona lettura!

Davide Cassi

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Otras formas de ver – Altri modi di vedere

di Davide Cassi

La scienza è un punto di vista particolare sul mondo e sulla realtà. Come tale, può essere utile a molte altre discipline ed attività umane, tra cui rientrano a buon diritto la cucina e la gastronomia. Nell’applicarla ad altri campi, è comunque necessario considerare quali siano i suoi meriti principali ed i suoi limiti ed eccessi.

A questo scopo, è illuminante una massima dovuta al naturalista francese del ‘700 Buffon:
« Il y a, dans l’histoire naturelle, deux écueils également dangereux: le premier, de n’avoir aucune méthode; et le second, de vouloir tout rapporter à un système particulier» (Ci sono, nella storia naturale [e nella scienza in generale] due scogli ugualmente pericolosi : il primo è non avere nessun metodo; e il secondo è il volere riferire tutto ad un sistema particolare).

La scienza è infatti soprattutto un metodo di ricerca, un’analisi critica dell’esperienza che mira a stabilire relazioni di causa ed effetto tra i vari aspetti e fattori di un fenomeno. E’ facile capire che questo metodo può essere applicato con successo alla cucina, utilizzando anche tutte le conoscenze che la ricerca scientifica ha portato nel corso della sua storia e che continua a portare ogni giorno.

E’ possibile ed auspicabile, in altre parole, che si sviluppi un’autentica Cucina Scientifica, una nuova disciplina che ricerchi nuove tecniche e nuovi piatti, e che porti ad una comprensione più profonda di piatti e tecniche già noti, utilizzando metodi e conoscenze scientifiche.

Nell’intraprendere questo cammino occorre evitare di cadere nel secondo degli scogli individuati da Buffon, ovvero di dare importanza eccessiva o esclusiva ad un punto di vista particolare e limitato. I rischi che si corrono, in questo caso, sono sostanzialmente tre, e si chiamano tecnicismo, riduzionismo e scientismo.

Il tecnicismo consiste nel considerare le tecniche e i metodi più importanti dell’oggetto da studiare o del risultato da ottenere: è un peccato di tecnicismo il voler utilizzare strumenti e tecnologie complesse per ottenere risultati che sarebbero ottenibili con metodi più semplici.

Il riduzionismo consiste nel considerare la comprensione dei costituenti elementari di un sistema sufficiente a spiegare ogni proprietà del sistema stesso: una folle affermazione riduzionista, ad esempio, è la seguente: “Il cervello è costituito da protoni, neutroni ed elettroni, quindi per capirne il funzionamento è sufficiente studiare le proprietà di protoni, neutroni ed elettroni. Nella prima metà dell’800, il poeta italiano Giuseppe Giusti stigmatizzava già quest’atteggiamento errato in un celebre epigramma: “Il buon senso, che già fu caposcuola, ora in parecchie scuole è morto affatto. / La scienza – sua figliola – l’uccise per veder com’era fatto”.

Lo scientismo consiste nel considerare la scienza capace di spiegare ogni aspetto del mondo e della realtà, ovvero nel trascurare tutti gli aspetti del reale che non sono spiegabili in termini scientifici. Il credere che il bello e il buono siano descrivibili scientificamente è una delle tipiche follie dello scientismo.

Anche in gastronomia è possibile commettere questi errori.

Esiste un tecnicismo culinario, che privilegia la tecnica rispetto al piatto, che a volte inventa piatti di scarso valore gastronomico come pure esemplificazioni di novità tecniche. Nella scienza, come in gastronomia, nelle arti ed in ogni attività umana correttamente interpretata, la tecnica è sempre e soltanto funzionale al risultato e, nei casi eccelsi, è addirittura offuscata dal valore intrinseco del risultato ottenuto: in musica, il virtuoso non è colui che fa apprezzare la difficoltà del pezzo che esegue e dunque le sue doti tecniche, ma colui che rende la difficoltà impercettibile all’ascolto, in un’impressione di totale leggerezza e naturalezza.

Esiste, similmente, un riduzionismo gastronomico, che pretende di capire un piatto, un sapore, un aroma scomponendolo in parti più semplici e perdendo così di vista l’armonia dell’insieme di queste parti, che è l’essenza stessa di quel piatto, sapore o aroma. Proprio per evitare il rischio di una simile visione riduzionista, considero ormai da evitare termini come gastronomia molecolare e cucina molecolare, che sono discipline possibili, ma assolutamente parziali e riduttive se prendiamo alla lettera il significato che il termine molecolare assume nel linguaggio scientifico: infatti, ridurre gli aspetti scientifici della gastronomia alle sole proprietà delle molecole è come pensare di spiegare il cervello studiando protoni, neutroni ed elettroni.

Lo scientismo gastronomico tocca i fondamenti stessi della cucina scientifica: consiste nell’illusione che la scienza possa stabilire oggettivamente che cosa è buono da mangiare e quale sia la procedura scientificamente corretta per cucinare un piatto buono. In realtà, tutto questo riguarda la sfera estetica dell’esperienza umana e, come tale, è del tutto indipendente dalla scienza. Il punto di vista scientifico non può arrivare a stabilire cosa sia buono o bello: nelle arti visive, la scienza ci permette di analizzare in dettaglio un colore, di ottenerne lo spettro, di modificarlo e di crearne di nuovi; ma non potrà mai dirci se quel colore o quei colori sono belli. Allo stesso modo, la scienza ci permette di inventare nuove tecniche di cucina e nuovi piatti, ma non è in grado di dirci se quei piatti sono buoni.

Il vertice più alto della conoscenza scientifica sta nel riconoscere i propri limiti, e il punto di vista scientifico, in gastronomia, non può essere totalizzante. E’utile, senza dubbio. E’ nuovo e promettente. Ma deve integrarsi ed armonizzarsi con tutti gli altri punti di vista possibili: da quello estetico, a quello nutrizionale, a quello culturale, a quello etico. E tutti questi punti di vista sono comunque subordinati al punto di vista gastronomico, che resta la visuale caratterizzante della disciplina di cui ci occupiamo: ovvero, tutto deve essere funzionale al buono da mangiare.
In definitiva, non si tratta di verificare se una procedura gastronomica sia scientificamente corretta, ma piuttosto di stabilire se un’idea scientifica sia gastronomicamente sensata.

La vera rivoluzione non consiste nell’osservare la cucina dal punto scientifico, ma nel vedere la scienza dal punto di vista gastronomico.
La cucina scientifica può nascere, dunque, come disciplina integrante in un percorso di studio gastronomico più articolato e complesso, che non trascuri gli aspetti non scientifici del problema.

Recentemente ho vissuto, insieme al grande chef italiano Fulvio Pierangelini, un’esperienza importante ed illuminante per comprendere il giusto ruolo di ogni punto di vista in gastronomia.
Volevamo inventare un piatto nuovo, che non fosse un semplice gioco o uno sfoggio di maestria. Volevamo che fosse utile a qualcuno, sano, tradizionale ed innovativo ad un tempo. Abbiamo pensato ai celiaci, che non possono mangiare cibi che contengono glutine e devono dunque privarsi dell’impareggiabile testura al dente della pasta di farina di grano duro.
Le farine di legumi sarebbero perfette per un celiaco, ma non sono impastabili con acqua a freddo. E’possibile trasformarle in gel, con la tecnica che i cinesi usano da secoli per gli spaghetti di riso, ma la testura molle e collosa di queste preparazioni non ha mai incontrato i gusti degli italiani. Decidemmo di concentrarci sulla farina di ceci, perché apparteneva comunque alla tradizione italiana (in Sicilia si preparano le panelle, in Toscana la cecina, in Liguria la farinata), e perché uno dei piatti più celebri ed imitati di Fulvio era la passatina di ceci e gamberi. Dopo qualche mese trovai il modo di rendere impastabile la farina di ceci denaturandone le proteine a secco in forno tiepido, e con la pasta poi ottenuta Fulvio Pierangelini creò degli incredibili ravioli di ceci ripieni di gamberi, che erano ispirati alla tradizione, ma assolutamente innovativi scientificamente, etici (il bene dei celiaci…), ottimi dal punto di vista nutrizionale, belli da vedere, ma, soprattutto, buonissimi da mangiare.

Riflettendo su tutto questo, convenimmo sul fatto che ogni aspetto possibile della cucina, in quel piatto, non era dominante, ma perfettamente armonizzato agli altri. Non potevamo definire quel tipo di cucina semplicemente scientifica, tradizionale, etica, estetica, dietetica, o altro. L’unica parola possibile era cucina totale.

Ed è proprio mirando ad un’ideale cucina totale che la scienza potrà e dovrà dare i suoi migliori contributi ad un’arte tanto antica quanto indispensabile al genere umano.

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